«La Storia ha insegnato quanto ci abbia giovato quella favola su Cristo» (Historia docuit quantum nos iuvasse illa de Christo fabula), scriveva Leone X dei Medici, papa dal 1513 al 1521, in una lettera al Cardinale Bembo, grande umanista. Una frase drammaticamente cinica e rivelatrice, ma ben fondata a quanto risulta dagli studi [Arch.Vaticani, Corr. Leone X, vol. 3°, scaff. 41]. E non basta: almeno altri due Papi, uno dei quali grandissimo, andarono molto oltre.
Il Vangelo insegna più menzogne che verità, era solito dire, due secoli prima, papa Bonifacio VIII (1235-1303): il parto di una vergine è assurdo; l’incarnazione del figlio di Dio è ridicola; il dogma della transustanziazione è una pazzia. Le quantità di denaro che la favola di Cristo ha apportato ai preti è incalcolabile [lo storico Giovanni Villani nella sua famosa “Cronaca” scritta durante il Giubileo a Roma nel 1300].
Ed ecco che cosa scriveva l’ambasciatore spagnolo in Vaticano, Mendoza, su Paolo III, papa dal 1534 al 1549: «Spingeva la sua irriverenza [il Pontefice] fino al punto di affermare che Cristo non era altri che il sole, adorato dalla setta Mitraica, e Giove Ammone rappresentato nel paganesimo sotto la forma di montone e di agnello. Spiegava le allegorie della sua incarnazione e della sua resurrezione mettendo in parallelo Cristo e Mitra. Diceva ancora che l’adorazione dei Magi non era altro che la cerimonia nella quale i preti di Zaratustra offrivano al loro dio oro,